La salute del cervello passa dal cuore

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Pressione alta, colesterolo fuori controllo, obesità minacciano non solo il sistema cardiovascolare ma pure le capacità cognitive.

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La salute del cuore influenza in maniera diretta e determinante quella del cervello. Lo conferma uno studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology condotto su oltre 500 soggetti con età media di 50 anni.
Già era nota la possibile influenza negativa di micro-ictus ripetuti sulle possibilità di insorgenza della demenza. Ora il nuovo studio sottolinea anche l’impatto dell’aterosclerosi in fase pre-clinica.
Niccolò Marchionni, docente di Geriatria all’Università di Firenze e direttore del Dipartimento Cardiotoracovascolare al fiorentino ospedale Careggi, commenta per il Corriere della Sera: «Questa ricerca è interessante proprio perché ha coinvolto persone relativamente giovani e asintomatiche, senza problemi di demenza, né malattie aterosclerotiche conclamate. Lo studio ha dimostrato che basta avere fattori di rischio per malattie cardiovascolari, come l’ipertensione, per avere un ridotto metabolismo cerebrale, un marcatore di future forme dementigene. Un altro punto di forza dello studio sta nel fatto che, mentre si conferma l’atteso e ovvio legame tra demenza vascolare e patologie cardiache, qui si guarda alla demenza in generale, compresa quella degenerativa, per intenderci la malattia di Alzheimer. Controllare la salute cardiovascolare, e ridurre l’ipertensione a 50-60 anni, fa la differenza in termini di futura salute mentale sia per le forme vascolari che per quelle degenerative di demenza».
Oltre alla pressione, però, vanno tenuti sotto controllo altri fattori: colesterolo, diabete, alimentazione, fumo. Tutti aspetti che potrebbero mettere a rischio non solo il cuore, ma anche il cervello.
«I pilastri della prevenzione cardiovascolare, e non solo, restano la vera dieta mediterranea e l’attività fisica, ricordando che l’una potenzia l’altra. Ma è necessario pensarci per tempo. È necessario anche tenere ben presente che ridurre i livelli pressori quando si è già decisamente avanti con gli anni e un disturbo cognitivo è già iniziato può, addirittura, avere un effetto controproducente».
«Negli anziani o molto anziani, soprattutto se fragili, si può parlare di controllo ottimale pure quando i valori di massima sono sui 140-150, contro i 130 cui si fa riferimento in età più giovanili. Questo perché, con l’età, funzionano meno bene i recettori, localizzati nella carotide e nell’aorta, che permettono, quando si passa da sdraiati a eretti, di mantenere stabili i valori pressori. In particolare, in chi soffre di Alzheimer, ma anche di Parkinson, la componente neurovegetativa è compromessa e il passaggio da posizione sdraiata a ortostatica può causare un brusco abbassamento della pressione, la cosiddetta ipotensione ortostatica. Un problema favorito anche dai farmaci alfa-bloccanti, usati per l’ipertrofia prostatica, e dalle benzodiazepine utilizzate, erroneamente, e magari per anni, per indurre il sonno. Ecco perché sarebbe utile negli anziani controllare la pressione pure quando sono in piedi: se è troppo bassa - anche per un sovra-trattamento dell’ipertensione - si riduce la circolazione cerebrale e, come è facile immaginare, questo non fa di certo bene».

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